di Ornella Mallo 29/03/2022

Scriveva Joseph Joubert che “I bambini vogliono sempre guardare dietro gli specchi” . E i poeti non hanno nulla di diverso rispetto ai bambini nella loro smania di rendere visibile, attraverso la parola, l’invisibile. Invisibile sicuramente è il senso del tempo. Eppure il tempo passa e lascia tracce. Scrive la poetessa Luciana Raggi in “Variazioni minime” che il tempo è come un treno che sferraglia . Ma al di là del suono assordante del treno, c’è il silenzio che ci attende, e che, muto, ci rivela l’essenza delle cose, ma soprattutto l’essenza di noi stessi e dei volti che abbiamo indossato nel corso della nostra vita. Cito testualmente la Nostra: “Il treno sferraglia/ non scuote il silenzio nutrito dai sogni./Corrono dritti i binari/corre strambo il pensiero/sul treno che corre./” “ Variazioni minime” è dunque un viaggio articolato in tre parti: un viaggio all’interno del proprio sé, nella prima, intitolata “Tutto cambia”, nell’intento di catturare quelle “minime variazioni” che compiamo vivendo, e che minime non sono, ma massime, al punto da essere l’io composto da una moltitudine di esseri discordanti, dai pensieri “sghembi” su “binari dritti”. Scrive: ”Una dimensione plurale m’avvolge/in questo errare inquieto/vincerà tempo e dolore/nella strana geometria/di questo nostro guscio/rifugio di equilibri sghembi.” Ed Eliot in Cocktail party: “Ciò che sappiamo degli altri è solo il ricordo/ dei momenti in cui li conoscemmo./ Ed essi sono cambiati da allora. /Pretendere di essere gli stessi, noi e loro/ è una convenzione sociale utile e conveniente/ che talvolta deve essere infranta. /Dobbiamo sempre ricordare/ che ad ogni incontro incontriamo un estraneo.” La poetessa avvalora questo pensiero quando scrive: “Patisco i mutamenti/ che mi hanno logorato/non mi riconosco”; oppure quando afferma: ”Ogni variazione vale/inclusa questa/di questa scarna parola/da assaporare/inclusa quella inaspettata/dal sapore imperfetto/un bicchiere più vuoto/una ruga più profonda/una stella più lontana./Ogni variazione vale/inclusa questa dell’ultima ora/trasformazione minima/arrivata improvvisa/con la spinta della gravità/il colore del destino./” Nella sua poetica al destino viene riconosciuto un ruolo preponderante nello stabilire il corso degli eventi. Ecco perché è calzante l’immagine del treno, che cammina su binari che imprimono la sua rotta, senza che possa essere mutata. E noi percorriamo una strada che parzialmente è già segnata da eventi imponderabili, che non possiamo modificare. Nostro, comunque, è il modo di affrontarli, e nostra la maniera di superare il dolore da loro inferto, e di modificare noi stessi in base a ciò che impariamo dall’esperienza. Scrive sempre la Raggi: ”Prigioniero di una storia/scritta dal destino/senza nessuna voglia/dipana il quotidiano./Frantuma il presente/in confusa rivolta/fra chiari di luna/e avanzi d’inquietudine./Scorrono in parata/le illusioni/rincorse da numeri pesi misure e immagini smaniose/da voci violente/che coprono tutto/riempiono bocche e pensieri/soffocano libertà./Prigioniero di un’assurdità/scritta dal destino/vuole fuggire il presente/dimenticare/curare/le ferite del tempo/con la normalità/la prosaica normalità.” Viaggiando sul treno della vita, impariamo a discernere la realtà dall’illusione, la verità sottesa al fondo delle cose dalle maschere che la ricoprono: “il muro scrostato”, di cui parla la poetessa. Leggendo, mi è venuta in mente una poesia di Transtromer, premio Nobel per la letteratura, poeta che sento di poter accostare alla Raggi per la sua ricerca all’interno del sé, di ciò che non muta nonostante i mutamenti, e per il linguaggio ridotto all’osso, scarnificato, senza nulla concedere a barocchismi di maniera. Scriveva Transtromer: ”Dentro di me/porto tutti i miei volti passati/come un albero i suoi cerchi./La loro somma sono “io”./Lo specchio/vede solo il mio ultimo volto,/io sento tutti i miei precedenti.” Ritorniamo dunque allo scavo che compie la poesia, nella ricerca della verità nascosta dietro specchi da cui rimbalzano immagini, e non sostanza. Nella seconda parte della silloge, intitolata “Nomade fra le parole” , la poetessa compie un viaggio all’interno della parola, analizzando tutte le sue potenzialità positive, e gli usi distorti che di essa invece fa la società di oggi. Nel mondo odierno, non viene impiegata come strumento necessario per dare un nome alle cose, nome che catturi la loro essenza e la esemplifichi esteriorizzandola, ma strumento mistificante e offensivo, usato per annichilire e non per costruire, per cui resta il silenzio contenente e contenuto della Verità : ”Spegnere le voci./Nel silenzio sentire/indistinto mormorio/di parole all’orizzonte./Lontano è l’orizzonte/indistinto il mormorio/così vicino il nostro non dire./Nel silenzio lasciare/ spazio al vuoto./Tacere tutti i nomi. /Svuotarsi/Spegnere le voci/E’ nel silenzio la cura.” Scrive sempre la poetessa: ”Lava le tue parole/togli le asperità/sbianca i pensieri./Poi donale al vento che le asciughi/al sole che le riscaldi/che le trapassi con la sua luce./Al tuo compagno che le indossi”/. E’ un invito rivolto a un uso proprio della parola: una parola-luce da indossare come un abito- dono d’amore. E una critica al turpiloquio di oggi, frutto del buio: “Fra nodi di parole/celato nell’intonazione/un aculeo mi punse./Era veleno/(e ancora mi scorre nelle vene)/Fra nodi di silenzi/celato nella solitudine/una folle idea s’affacciò improvvisa./Fu luce/(e ancora è luce/per i miei occhi ciechi).” Il silenzio, quindi, genera luce; e la solitudine viene colta non come sterile isolamento, ma come grembo rigenerante di noi stessi, che ci porta a catturare la luce insita dentro di noi, luce visibile anche da occhi ciechi. Scriveva Kovic: “Devi essere aperto/come una ferita,/perché il vero nome delle cose/è nascosto.” Se il destino ha un suo ruolo nella nostra vita, perché gli eventi spesso sono imponderabili e sfuggono al nostro controllo, Dio è anche Lui presente, anche se spesso si sottrae alla nostra percezione; e si incarna nel grembo della donna, grembo da cui scaturisce il cosmo con la sua bellezza inesauribile: ”Quel Dio/che spesso si sottrae/l’ho sentito quel giorno/in riva al mare./Nel guizzo dell’onda/sussurrava il ritorno./Era donna./Portava in grembo l’infinito.” Bellissimo e intenso il ritratto della madre che tratteggia la poetessa in una delle sue poesie: ”Era davanti ai figli/sistemata per bene/comoda sul divano/li guardava forte/li accoglieva/li ​leggeva e rileggeva/per impararli a memoria/accarezzandoli di sguardi/li assaporava./Sul volto segnato dal tempo/un dolce sorriso/mal s’accordava/alle nubi dei suoi occhi/a quel dolore concentrato/in una perla lacrima./Sorrideva/ per abitudine consolidata/per sfida per amore/non diceva nulla/parlavano i suoi occhi.” La terza parte della silloge si intitola “L’arte dell’incontro”. In essa la poetessa completa il suo viaggio all’interno dell’io, delle sue modificazioni, e della parola, avvalendosi dell’apporto di alcuni fra gli artisti più significativi nella sua formazione, da Giotto e Platone a Leopardi, da Bruegel a Escher, da Isgrò e Levi a Calder. Il messaggio è chiaro: diceva Dostoevskij che “la bellezza salverà il mondo”. La bellezza è l’incontro con l’altro, da cui apprendere. E l’Arte è senza dubbio generativa di bellezza e di Verità, in questo mondo dominato da Narcisi ego centrati, chiusi al dialogo e mistificatori, cui la poetessa rivolge un’aspra critica: “Narcisi ovunque/esibiscono/mediocri vizi/mediocri virtù/pretese di certezze./Platone non docet./Platone con te parlerebbe./Tremano le tue idee./per questo son belle./” La poesia, in particolare, con il suo scavo volto a portare alla luce l’invisibile, ha un ruolo fondamentale, alimenta la speranza di un mondo finalmente guarito, luminoso. Scrive la Raggi :”Come ciechi i poeti/a tentoni cercano il bianco/per lasciare impronte del viaggio/sentono il respiro del mondo parallelo/un’eco inesauribile che insiste/mentre inseguono l’abbraccio del vento.” Rivolgo allora il mio invito alla lettura di questa splendida silloge, che senz’altro ci indica, con parole finalmente parlanti e non vuote, la strada verso il superamento di tutte le nostre inquietudini, verso la pace, come del resto afferma la poetessa: ”Non trattenermi in sussurri sottili/non perdiamo le parole/urliamo la pace.”